Chef Massimo

Massimo Bottura (foto di Settimio Benedusi)

Intervista di Beatrice Bettuzzi, Chiara Maffei e Sara Vellani

Massimo Bottura, chef modenese di fama planetaria,
è il nostro ospite per l’intervista di copertina.

Massimo Bottura (foto di Settimio Bendusi)
Massimo Bottura (foto di Settimio Bendusi)

Abbiamo studiato un po’ la sua storia, iniziamo con il farle i complimenti per i traguardi che ha raggiunto nel suo lavoro. Perché ha scelto questa professione?
Ringrazio di cuore per i complimenti. Non sono stato io a scegliere la gastronomia, è stata lei a scegliere me. Io tengo sempre aperta la porta dell’inaspettato. Ci sono entrato e non sono più uscito.
La passione e l’amore per la cucina si tramandano nella mia famiglia da generazioni.
Mia nonna non era una grande cuoca perché “doveva” cucinare, era “obbligata”, al contrario di mia mamma, bravissima, perché amava farlo. Quando decisi di cambiare percorso di vita fu mia madre a convincere tutti che non sarei mai stato un bravo avvocato e che avrei dovuto incanalare tutte le mie energie in un progetto in cui credevo. Mio padre non era d’accordo e ricordo che in una delle tante discussioni gli dissi: “Vedrai che un giorno porterò le tre stelle a
Modena!”, e da quel momento quell’obiettivo è stato un faro costante. Non è stato facile. Nei momenti più bui ho sempre tenuto duro perché dovevo dimostrare che mia madre aveva ragione.
Oggi non potrei immaginare la mia vita lontano dalla cucina.

Cos’è che di Osteria Francescana piace tanto alla gente?
Quello che facciamo ogni giorno in Osteria Francescana è comprimere le nostre passioni e i nostri ricordi in bocconi masticabili. Il lavoro principale risiede nella capacità di tradurre è comunicare esperienze estremamente personali e culturali in un linguaggio universalmente appetibile, che possa arrivare a più
persone possibili. Il nostro è un modo di raccontare le nostre storie e le nostre passioni, di perpetrare un atto che non è mai matematico, ma puramente emozionale: i nostri ospiti non vengono qui per
riempirsi la pancia ma per masticare emozioni.

Qual è lo strumento senza il quale non può stare in cucina?
La mente è uno degli strumenti più preziosi in cucina perché cucinare è il lavoro di un uomo che pensa. Per questo motivo è fondamentale per ognuno di noi, non solo per uno
chef, riempire il proprio bagaglio di cultura, libri, musica, letteratura,
arte, viaggi e assorbire tutto ciò che cattura la tua attenzione.
Assolutamente.
È da lì che parte tutto. Ho sempre insegnato ai miei ragazzi ad andare in profondità nelle cose perché un giorno quegli interessi si
trasformeranno in passioni e attraverso le passioni si vivono e si trasmettono le emozioni.


Dove trova l’ispirazione per i suoi piatti?
La mia ispirazione fondamentale è la mia anima, le mie memorie o qualsiasi cosa possa portare alla mia prossima creazione. La mia
cucina è intimista, una cucina in punta di piedi.
Un nuovo piatto nasce da un’idea, una riflessione su un ingrediente o su una tradizione; può nascere da un viaggio o da un brano di
musica. L’importante è essere consapevole da dove è iniziato il percorso, poi dove arriverà è sempre un mistero.

Oltre a questo lavoro, quali altre passioni le riempiono la vita?
Oltre alla cucina le mie passioni sono l’arte e la musica. Le passioni sono veicolo di trasmissione di emozioni e l’ispirazione può arrivare da esse, in qualsiasi momento. Che sia un’opera jazz o un’opera d’arte contemporanea, l’importante è cogliere il lampo di luce di
creatività e sublimarlo in bocconi masticabili.

Massimo Bottura ritratto da Marco Poderi
Massimo Bottura ritratto da Marco Poderi


Qual è il suo ruolo all’interno del progetto del “Tortellante”?
Qui i ragazzi si occupano a 360 gradi delle attività da svolgere. Dall’arrivo delle materie prime, alla preparazione del ripieno con il
supporto della responsabile di cucina fino allo stoccaggio e alla spedizione dei prodotti. Tutto questo è possibile grazie a una equipe multidisciplinare che supporta e definisce per ogni ragazzo gli obiettivi terapeutici da raggiungere e come lavorarci sopra. In Emilia abbiamo una forte spinta sociale e senso comunitario, io so di aver avuto tanto dalla vita e per questo voglio restituire, questo progetto me lo consente. Il Tortellante riunisce persone di diverse età e abilità attorno allo stesso tavolo per portare avanti la tradizione modenese della pasta fresca. Ci siamo resi conto che maggiore è la diversità attorno al tavolo, maggiore sarà l’amore (e, di conseguenza, i tortellini che verranno prodotti).

Cosa ne pensa della cucina a base vegetale in termini di gusto e di sostenibilità? È veramente il futuro?
In futuro dovremo capire che la sostenibilità è nel nostro modo di agire in qualunque momento, per garantire pace e sicurezza da ogni punto di vista. E riguarda sia il rispetto per la natura che per le relazioni umane. La cucina italiana della tradizione è piena di soluzioni anti spreco e di riuso degli avanzi, è la nostra eredità culturale. La sostenibilità è già nella testa delle persone, è un’eredità che arriva dalle nostre madri e dalle nostre nonne: è alla base della tradizione italiana. Le nostre nonne non sprecavano, ogni parte di ogni ingrediente trovava il suo uso in cucina. Bisogna capire che la cucina è cultura, e se non acquistiamo materie prime sostenibili, creiamo una cultura che colpisce la società e i valori che sono sempre più difficili da mantenere. Ho però la sensazione che i giovani di oggi siano molto più responsabili di quanto lo eravamo noi, sono molto fiducioso per il futuro.