di Antonio Zanoli
Dopo l’ennesimo preoccupante calo dei votanti nelle ultime tornate elettorali, il non voto è stato preso di mira con la solita retorica (sbagliata e fascistoide) del “se non vai a votare non hai poi più diritto di dire nulla”, ma quello che è sempre stato un errore arrogante di chi glorifica il voto come unica via per incidere nella vita pubblica (sovente questi beniamini se ne lavano presto le mani e spariscono nei meandri dei fatti propri, subito dopo aver fatto fuoco e fiamme in campagna elettorale), diventa un errore marchiano alla luce dei nuovi sviluppi della “politica”.
Sì, fra virgolette, perché quello che oggi chiamiamo “politica”, spesso si limita ad una delle parti (la meno nobile…), di essa: la propaganda.
Chi non va a votare, chi ci va annullando o lasciando in bianco la scheda, non è quindi necessariamente e oserei dire sempre più raramente un menefreghista, come con faciloneria e superficialità li si vuole liquidare, ma semplicemente qualcuno che ha finalmente il coraggio di puntare il dito contro quei corpi intermedi, primi fra tutti i partiti, che non fanno più il loro lavoro.
Capisco che chi ha la coda di paglia non abbia nessun interesse a risolvere un problema di cui è massimo responsabile, ma non capisco davvero questa militanza ottusa e acritica dei sostenitori. Proprio chi si arroga il titolo di più interessato non dovrebbe cadere nell’errore di accusare il sintomo, ma prendere le dovute precauzioni e se necessario lottare con le cure più forti contro la malattia per difendere la sua passione: perché se una cosa è chiara è che la nostra democrazia è malata e non è colpa di chi se n’è accorto e che di chi la “rappresenta” non si fida più.