di Roberta Lilli
Mi chiamo Roberta, ho 43 anni, frequento l’Anffas da sei anni.
Vorrei raccontare la mia storia sulle pagine di questo giornale perché vorrei farvi riflettere su quanto dal brutto possa nascere il bello.
La mia è una storia di cambiamento: oggi ho 43 anni, ma fino a poco più di dieci anni fa la mia vita era completamente diversa.
Sono nata in una famiglia che non si occupava molto di me, per fortuna c’era mia nonna Laura che viveva con noi e che era il mio punto di riferimento. Era una grande donna, sempre pronta ad aiutare tutti, faceva l’infermiera a domicilio ed era anche un po’ magica, infatti ricordo che era solita togliere il malocchio alle persone: io ero sempre con lei ed ero affascinata da quello che faceva.
Quando avevo circa 30 anni la nonna si è ammalata e dopo poco tempo è morta. In quel momento mi è crollato il mondo addosso, non avevo più punti di riferimento.
Non so come, ma ho iniziato a cercare consolazione nel bere; fino a quel momento bevevo una birra o un bicchiere di vino saltuariamente, come tutte le persone della mia età, poi ho iniziato ad esagerare: compravo cinque o sei bottiglie di birra e le bevevo da sola, finché non mi ubriacavo, ogni giorno.
Non lavoravo, così mi procuravo i soldi per bere in altri modi: li rubavo a mia madre, elemosinavo per strada. Ero anche diventata violenta nei confronti dei miei genitori e di mia sorella, non riuscivo più a controllarmi, tanto che sono intervenuti i servizi sociali, ma non ricordo chi li avesse chiamati. Hanno deciso di allontanarmi dalla mia famiglia, e sono stata ricoverata in un centro psichiatrico, dove sono rimasta per circa un anno.
Sono riuscita a smettere di bere, e questo è stato solo l’inizio per me, grazie ad un parroco di Sassuolo sono stata accolta alla Casa della Carità, dove vivo tutt’ora.
I primi tempi sono stati molto duri: non volevo stare con nessuno, e mi sembrava che nessuno mi volesse. La Casa della Carità aveva regole molto rigide, e le ha tutt’ora, ma all’epoca erano per me insopportabili.
Ho provato a scappare diverse volte, per tornare dai miei genitori: andavo in stazione degli autobus per tornare a casa. Devo ringraziare due mie care amiche, che mi hanno aiutato a capire che non potevo più scappare da me stessa.
Un’altra persona che è stata determinante per la mia vita e per il mio cambiamento è Suor Katia, responsabile della Casa della Carità. Quando è arrivata io vivevo lì circa da due anni, non avevamo un buon rapporto, la mia diffidenza la teneva lontana, poi con il tempo ci siamo trovate a metà strada ed è diventata la mia seconda sorella. Grazie a Suor Katia ho iniziato a frequentare l’Anffas, ed è stato per me un altro cambiamento.
All’inizio venivo un paio di volte alla settimana, ma non molto volentieri: non mi toglievo nemmeno la giacca. Pensavo solo a bere il caffè e all’orario in cui mi era permesso fumare.
Svolgevo le attività senza entusiasmo. Con il tempo, grazie alle educatrici e grazie anche a me stessa, venire in Anffas è diventato parte della mia quotidianità, le persone che sono qui sono come una seconda famiglia. Mi sento a mio agio, sento di essere tra amici che mi apprezzano e mi accettano per quello che sono, senza giudicarmi.
Io oggi posso dire di stare bene, di essere serena, e non me lo sarei mai immaginata. Ho voluto tanto raccontare la mia storia perché voglio dire alle persone che hanno avuto o che hanno dei problemi come i miei che possono stare meglio.
Bisogna lasciarsi aiutare dalle persone giuste, ma deve iniziare sopratutto da noi stessi. Non si deve smettere di lottare.
Mi chiamo Roberta, e ho avuto una seconda possibilità.