di Antonia Bertoni
Le riflessioni emerse dallo scambio con Giordano Bruno Guerri ci hanno spalancato nuove curiosità, che abbiamo soddisfatto con la storica Antonia Bertoni, già in passato prezioso riferimento della Redazione.

DISABILITÀ E URSS
La Russia sovietica è stato un regime totalitario che non ha nel suo DNA il razzismo e non ci fu nulla di equiparabile ad Aktion t-4 nazista. Tuttavia anche in Russia al tempo dello zar e poi nella Russia bolscevica degli anni Venti si sviluppò l’eugenica (o eugenetica, ndr)cioè un insieme di teorie e pratiche tese al miglioramento della “razza” mediante la sterilizzazione e l’inseminazione. Ma a partire dagli anni Trenta e durante gli anni Quaranta Stalin bloccò queste sperimentazioni e i medici che sostenevano e praticavano queste idee furono duramente perseguitati se non eliminati. Ciò non significa però che la disabilità fosse riconosciuta portatrice di diritti e protetta: per il comunismo sovietico dei primi tempi la carità era un relitto del passato, i servizi assistenziali spettavano allo Stato che avrebbe provveduto a tutte le necessità. Ma la dura realtà riguardo ai diritti civili era che il cittadino disabile nella Russia sovietica era privo di adeguati sostegni, come accade oggi nella Russia di Putin. Molti disabili divennero vittime della polizia politica, del Terrore bolscevico, del Grande terrore staliniano ed entrarono nei Gulag per non uscirne più. Molti di loro erano invalidi fisici a causa della Guerra civile (1917-1921), a causa della Grande guerra Patriottica (1941-1945) e molto tempo dopo a causa della Guerra in Afghanistan (1979-1989) e solo pochi ricevettero aiuti. Sul piano dei diritti politici nella Costituzione del 1918 le persone riconosciute, secondo la legge, disabili non godevano del diritto di elettorato attivo né passivo. Nel Codice Civile del 1922 la capacità giuridica civile era riconosciuta a tutti i cittadini, indipendentemente da sesso, razza, nazionalità, confessione religiosa e origine sociale, ma chi era disabile non era soggetto di diritti. Nel Regolamento sulla carta d’identità del 1932 sembrerebbe che i disabili non la possiedano e siano iscritti negli istituti (orfanatrofi o altro) in cui sono reclusi. Sono invisibili.
LO STATO ITALIANO LIBERALE (1860-1921) E LO STATO FASCISTA (1922-1943)
Com’è noto i disabili cominciarono a uscire dall’anonimato delle età precedenti a partire dalla metà dell’Ottocento. In quegli anni nello Stato monarchico liberale italiano i disabili, in particolare bambini, iniziarono a essere studiati dai sociologi e dai medici, e assistiti. Tuttavia era forte l’idea che la loro disabilità fosse legata alla condizione sociale di povertà, di degrado morale e sociale dei genitori. Spesso le persone con disabilità venivano considerate alla stregua di delinquenti pericolosi e reclusi in istituti comuni. Anche nello Stato liberale la preoccupazione era tutta rivolta non alla loro dignità e benessere ma ad evitare “la decadenza della razza”.
Con legge n. 2277 del 10 dicembre 1925 il regime fascista istituiva «un Ente morale con sede in Roma, denominato “Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia” (OMNI). Attraverso questo organismo, in continuità con lo Stato liberale, il regime fascista intervenne con norme specifiche nel campo della cura e dell’assistenza ai bambini e bambine disabili, anche poveri, molti dei quali però erano reclusi in istituti, ospizi, reparti speciali. Fra le novità fu introdotta una più precisa “classificazione” delle malattie. Tuttavia anche questa attenzione era inserita nel progetto di “rigenerazione della razza” perché secondo il Duce l’OMNI era destinato a «vigilare seriamente sul destino della razza, a curare la razza, a cominciare dalla maternità e dall’infanzia». Perciò nel 1923 fu attuato il Censimento dei bambini e bambine disabili che ricorda il terribile Censimento degli Ebrei. La realtà era che spesso i bambini e le bambine disabili erano internati in manicomi, spesso vivevano a fianco di malati adulti in ambienti per loro inadatti, non in istituti specifici. Lo Stato fascista dedicò molti sforzi a sorvegliare e a recludere soprattutto le bambine e le donne disabili e a intervenire sui loro corpi poiché le considerava inadatte alla funzione materna, questo per perfezionare la razza ed evitare il suo indebolimento fisico e mentale.