di Rita Nasi
La nascita di un bambino comporta sempre un certo grado di confusione e riorganizzazione del ciclo di vita di una famiglia: cambiano i ritmi, gli spazi, le routine e il senso d’identità dei genitori e della coppia genitoriale.
Quando nasce un bambino con disabilità tutto si complica.
La famiglia si trova coinvolta in un fenomeno dirompente, critico e potenzialmente distruttivo degli equilibri e della coesione del sistema famiglia.
La reazione dei genitori di fronte alla sorpresa delle caratteristiche del figlio è principalmente un vissuto di inadeguatezza, un senso di responsabilità ed il relativo senso di impotenza per non poter in alcun modo sopperire a tale condizione.
Quando aspetta un bambino la mente di una madre è impegnata a immaginare scenari futuri rispetto a sé, al proprio bambino e alla propria famiglia.
La nascita di un bambino con disabilità è un evento che di fatto ferma il corso del tempo.
E quando il tempo si ferma, si blocca anche la capacità di andare con l’immaginazione oltre il presente e spesso il senso di solitudine prende il sopravvento.
Come farle sentire meno sole?
Se da una parte le istituzioni dovrebbero garantire leggi, supporti e terapie adeguate alla persona con disabilità e alla sua famiglia, dall’altra la comunità dovrebbe essere rispettosa e accogliente. Molto spesso l’accoglienza e il rispetto posso essere declinati in piccoli gesti: un saluto adeguato all’età, un atteggiamento non pietistico, ma compassionevole, offrire educatamente un aiuto e non voltarsi dall’altra parte, aspettare eventualmente i tempi lenti, non trattare la persona con disabilità come un malato o come un bambino se non lo è.
Molto spesso le famiglie riportano con dolore di subire gli sguardi spaventati degli altri, i giudizi della società che rende loro difficile frequentare luoghi pubblici e di aggregazione. Quanto siamo disposti a mettere da parte i nostri pregiudizi, il nostro egoismo e le nostre paure?
Se ognuno di noi provasse ad essere più accogliente, curioso e disponile verso la diversità, forse la società sarebbe migliore per tutti. Non solo per le persone con disabilità e le loro famiglie.