un racconto di Gabriele Bassanetti
A 7 anni Alessandro A. si innamorò di Rosa. In prima non l’aveva notata, ma in seconda lei si girò per chiedergli una gomma e lui vide le gote rosse, il naso all’insù e quei bellissimi occhi grigi. Alessandro A. rimase a bocca aperta e non pensò più ad altro. Alla fine delle lezioni consegnò a Rosa un biglietto, su un foglio a quadretti: c’erano un cuore rosso colorato a pennarello e sotto la scritta “Rosa ti amo”. Lei lo lesse e arrossì, accartocciò il foglietto e lo mise in tasca, poi abbassò lo sguardo e andò via senza dire niente.
Alessandro A. si disse che doveva impegnarsi di più: scrisse in grande “Rosa ti amo” col gesso sulla lavagna della classe. Rosa abbassò la testa sul banco e non disse nulla.
Alessandro A. scrisse “Rosa ti amo” su tutti i quaderni, sulla cartella, sull’astuccio. Alla recita di quinta elementare nel momento dei ringraziamenti camminò fino al bordo del palco e gridò “Rosa ti amo”. Lei sprofondò nel sedile e non disse niente.
Alle medie andarono in scuole diverse ma lui andava a scrivere “Rosa ti amo” col gesso sul marciapiede di casa sua. Lei usciva e leggeva senza dire nulla.
Poi la famiglia di Rosa si trasferì in un’altra città. Alessandro A. si disse che avrebbe continuato ad amarla lo stesso.
All’esame di maturità il suo tema, anche se lo firmò “Rosa ti amo” ebbe il massimo dei voti. Si iscrisse alla facoltà di medicina e si laureò velocemente, con una tesi sperimentale su un farmaco contro gravi malattie infantili, che venne sviluppato e prodotto con successo. Lo fece chiamare RTA. Alessandro A. divenne molto ricco e impiegò parte dei soldi per far scrivere “Rosa ti amo” sui dirigibili pubblicitari e per far volare aerei con uno striscione “Rosa ti amo” lungo le coste.
Il resto lo utilizzò perchè la RTA arrivasse anche nei paesi poveri. La sua fondazione “Rosa ti amo” creò 37 sedi in tutto il mondo e salvò migliaia di vite.
Un giorno Alessandro A. canticchiava “Rosa ti amo” su un motivetto che gli sembrava molto bello ma non ricordava dove lo aveva sentito.
Chiamò un suo amico compositore e glielo cantò. Lui rispose che era bellissimo e volle metterlo in musica. Un cantante famoso, Arcangelo, accettò di incidere “Rosa ti amo” e la portò al Festival, dove vinse trionfalmente. Per tutta l’estate dovunque risuonava “Rosa ti amo”. La stampa cercò l’autore. Alessandro A. rifiutò gentilmente ogni intervista. Cercarono anche Rosa ma dopo il trasferimento sembrava sparita.
Alessandro A. era molto vecchio quando morì. Non aveva moglie né figli né parenti, ma al suo funerale vennero in migliaia: fans della canzone, colleghi, famiglie di bambini salvati. Un cardinale fece il suo elogio, ricordando i suoi meriti e anche quell’amore seppure non corrisposto, che lo aveva mantenuto vitale e generoso. La folla accompagnò Alessandro A. al cimitero. La lapide era come l’aveva voluta lui: c’erano il nome, la data di nascita e di morte e sotto “Rosa ti amo”.
Dal fondo della moltitudine avanzò una donna: sembrava molto anziana, si aiutava con un bastone. Aveva bellissimi occhi grigi, anche se velati dal tempo. Arrivò fino alla tomba, tirò fuori un foglietto a quadretti spiegazzato e ingiallito e lo depose fra i fiori. Poi posò un bacio sulla lapide, si voltò e se ne andò fra la folla ammutolita. La gente si avvicinò per leggere il foglio: c’erano un cuore rosso colorato a pennarello e la scritta “Rosa ti amo”. E poco più in basso, con una grafia diversa un po’ incerta, una sola parola: “Grazie”.